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								Strabone, lo storico e geografo greco nato ad Amasia, nel Ponto, nel 
			63 a.C., ci racconta nella sua opera principale, “Geografia”, in 17 
			libri, come già ai suoi tempi, grazie alla presenza romana, l’agro 
			veneto fosse “tutto fertile, ricco di viti e di alberi” (VIII, 38). 
			E aggiunge: “Quanto alla quantità del vino, essa è provata dalle 
			botti: quelle di legno sono infatti più grandi delle case e la 
			produzione di pece contribuisce poi ad una buona duratura” (V, 1, C 
			218). Se dunque già sul 
		finire del I sec. a.C. la coltivazione della vite appare così diffusa, 
		dice il vero lo scrittore e storico greco Erodiano, nato nel 180 d.C., 
		quando afferma nella sua “Storia dell’impero dopo Marco Aurelio” che “la 
		regione è assai ricca di vigneti per cui rifornisce di abbondante vino i 
		popoli che non coltivano la vite. Qui gli alberi sono disposti a uguali 
		distanze e le loro viti sono accoppiate, formando un quadro festoso, 
		tanto che quelle terre sembrano adorne di corone verdeggianti”.
 La realtà 
		vitivinicola regionale si presenta in tutto il suo splendore solo dopo 
		l’arrivo dei Romani, perché  prima, come  assicura  il poeta Publio 
		Virgilio Marone, 
		si trovava esclusivamente la vite selvatica: “Auspice, ut antrum 
		silvestris raris sparsit labrusca racemis”, 
		fa dire infatti in una sua egloga a Mopso rivolto a Menalca, cioè 
		“guarda come la vite selvatica, la labrusca, ha ricoperto qua e là con i 
		suoi grappoli la rustica capanna” (Egl V, 5-6).
 Strabone, lo storico e geografo greco nato ad Amasia, nel Ponto, nel 
			63 a.C., ci racconta nella sua opera principale, “Geografia”, in 17 
			libri, come già ai suoi tempi, grazie alla presenza romana, l’agro 
			veneto fosse “tutto fertile, ricco di viti e di alberi” (VIII, 38). 
			E aggiunge: “Quanto alla quantità del vino, essa è provata dalle 
			botti: quelle di legno sono infatti più grandi delle case e la 
			produzione di pece contribuisce poi ad una buona duratura” (V, 1, C 
			218).
 Se dunque già sul 
		finire del I sec. a.C. la coltivazione della vite appare così diffusa, 
		dice il vero lo scrittore e storico greco Erodiano, nato nel 180 d.C., 
		quando afferma nella sua “Storia dell’impero dopo Marco Aurelio” che “la 
		regione è assai ricca di vigneti per cui rifornisce di abbondante vino i 
		popoli che non coltivano la vite. Qui gli alberi sono disposti a uguali 
		distanze e le loro viti sono accoppiate, formando un quadro festoso, 
		tanto che quelle terre sembrano adorne di corone verdeggianti”.
 La realtà 
		vitivinicola regionale si presenta in tutto il suo splendore solo dopo 
		l’arrivo dei Romani, perché  prima, come  assicura  il poeta Publio 
		Virgilio Marone, 
		si trovava esclusivamente la vite selvatica: “Auspice, ut antrum 
		silvestris raris sparsit labrusca racemis”, 
		fa dire infatti in una sua egloga a Mopso rivolto a Menalca, cioè 
		“guarda come la vite selvatica, la labrusca, ha ricoperto qua e là con i 
		suoi grappoli la rustica capanna” (Egl V, 5-6).
 Poi, con le 
		centurazioni del territorio, i coloni romani iniziano a coltivare 
		ovunque la vite, con risultati anche estetici che lo stesso Virgilio non 
		manca di sottolineare, affermando che “lentae texunt umbracula vites”  
		(Egl IX, 42), cioè “le flessibili viti intrecciano pergolati”, 
		disegnando armoniosi fraseggi nella campagna ben curata da saggi 
		agricoltori.
 Volendo fissare 
		per questo territorio una data di passaggio fra l’antica presenza della 
		vite selvatica e l’inizio della coltivazione intensiva della vitis 
		vinifera, questa non può essere che il 131 a.C., quando s’è dato 
		inizio alla costruzione della via Annia.
   
								
								Se da quell’anno 
		comincia per Altino una nuova vita, è del pari vero che la popolazione 
		qui residente aveva ormai alle spalle lunghi secoli di civiltà, dal 
		momento che la città, già molto prima dell’arrivo dei Romani, era ricca 
		e popolosa, ben sviluppata e caratterizzata da un fiorente commercio con 
		i centri dell’interno e della gronda lagunare. Non fu difficile 
		dunque per i residenti accogliere e far proprio quanto di buono veniva 
		portato dai nuovi arrivati, fra cui appunto le viti che i coloni mandati 
		da Roma si portarono dalle regioni d’origine.
 Ma un’altra data è 
		fondamentale nella nostra storia: il 15 a.C., che segna l’avvio dei 
		lavori disposti dal giovane Druso per la costruzione di una nuova grande 
		arteria, completata nel 47 d.C. dall’imperatore Claudio, suo figlio, 
		cioè la Claudia Augusta che metteva in collegamento Altino e l’alto 
		Adriatico con Augusta Vindelicum, l’odierna Augsburg, e quindi 
		con le regioni danubiane e la Germania.
 L’Annia, che si 
		dirigeva a nord-est verso Iulia Concordia e Aquileia, ma ancor più la 
		Claudia Augusta – che puntava diritta a nord, superando il fiume Piave 
		lì dove esso si allarga appena uscito dalla pedemontana trevigiana e dal 
		Montello verso la pianura – furono importanti vie di diffusione dei 
		prodotti coltivati nell’agro altinate e in primo luogo della vite che, 
		nelle campagne verso Musestre, S. Cipriano e Roncade, aveva trovato fin 
		da allora un habitat ideale.
 
									
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												LA CLAUDIA 
												AUGUSTAAltino - Augsburg
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								La romanizzazione 
		del territorio nel Veneto orientale fu piuttosto lenta e per veder 
		realizzate, dopo quella di Altino, le centuriazioni di Oderzo e di 
		Concordia occorrerà attendere qualche decennio, ma intanto la vite era 
		stata ampiamente diffusa nell’entroterra altinate fino al Piave, così 
		come in terra friulana da Aquileia si era diffusa fino al Tagliamento e 
		alla  cerchia  delle Alpi.La vite, al pari 
		del frumento, rappresentò dunque una delle coltivazioni più importanti e 
		caratteristiche del territorio a monte di Altino, essendo il vino 
		bevanda assai gradita alla nuova borghesia veneto-romana, venendo pure 
		inviato dal vicino scalo marittimo fino a Roma dove la richiesta era 
		sempre sostenuta.
 Ad Altino 
		soggiornarono poi diversi imperatori romani, da Lucio Vero, fratello di 
		Marco Aurelio ad Onorio, giuntovi nel 402 e la loro presenza esigeva, 
		fra le altre cose, l’organizzazione di banchetti e brindisi con larga 
		partecipazione del patriziato e della borghesia locale.
 Poi, a seguito 
		dell’editto di Costantino (313 d.C.), il Cristianesimo venne 
		riconosciuto e approvato dalle massime autorità dello Stato romano, 
		diffondendosi quindi rapidamente fra la popolazione. Ben presto la città 
		di Altino divenne sede vescovile con Eliodoro che resse la diocesi fino 
		al 407 e questa importante istituzione ecclesiastica diede ulteriore 
		contributo all’innal-zamento del tenore di vita cittadino.
 Questi sono secoli di grande splendore,  
										in particolare da quando
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								iniziano i 
		lavori per la via Annia e fino a che la Claudia Augusta è completata e 
		ancora più in avanti. In questo periodo si assiste ad uno straordinario 
		fervore di iniziative in ogni campo, con un crescente sviluppo 
		produttivo e commerciale e con feste e avvenimenti  di grande  rilievo  
		tanto che Altino, forse anche grazie alla sua posizione decentrata, ma 
		soprattutto perché strategico nodo stradale e ben protetto scalo navale, 
		intermedio fra Ravenna e Aquileia, vive più di altre città venete un 
		lungo periodo felice che si concluderà molto tardi, solo nel 452, quando 
		arriverà anche qui la furia devastatrice di Attila.La viticoltura ebbe dunque un ruolo importante nell’economia altinate 
		nel corso dei secoli che vanno dalla costruzione dell’Annia al passaggio 
		delle orde unne e da qui la vite si diffuse poi a macchia d’olio 
		nell’entroterra veneto, in particolare lungo la Claudia Augusta, tanto è 
		vero  che  nel corso della storia i vini di Roncade, S. Biagio 
		di Callalta, Breda di Piave, Maserada sul Piave e in genere delle terre 
		del Piave, del Montello e di tutta la fertile pedemontana attraversata 
		dall’importante arteria sia col ramo militare (Moriago, Vidor, 
		Valdobbiadene) che con quello commerciale (tutta l’area solighese e le 
		attigue colline felettane) hanno segnato non solo l’economia ma la 
		civiltà stessa dei residenti, che ancor oggi considerano la viticoltura 
		una voce importante dell’economia del territorio e il vino quale 
		presenza indispensabile su ogni tavola imbandita.
 E’ infatti 
		significativo che oggi, con una continuità storica davvero stupefacente, 
		l’antico percorso della Claudia Augusta sia sfiorato per lungo tratto 
		dalla moderna “Strada dei vini del Piave”, creata dopo l’ultimo 
		dopoguerra per esaltare gli ottimi vini prodotti nella pianura veneziana 
		e trevigiana, in particolare i vini bianchi a denominazione di origine 
		controllata Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio, Tocai 
								
								(Tai dal 2007) 
								
								e Verduzzo e i 
		rossi Cabernet e Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero e Raboso e 
		ancora il Cabernet franc, l’Incrocio Manzoni 6.0.13 (bianco), l’Incrocio 
		Manzoni 2.15 (rosso), il Malbech, la Malvasia istriana, il 
		Muller-Thurgau, il Riesling sia italico che renano, il Refosco, ecc.
 I vini della terra 
		del Piave, attraversata da Sud a Nord dalla Claudia Augusta qui diffusi 
		da oltre duemila anni proprio grazie a questa antica arteria sono oggi 
		conosciuti e apprezzati non solo in Italia ma in ogni parte del mondo 
		dove godono di una richiesta che cresce col passare degli anni.
 E lo stesso può 
		dirsi dei vini prodotti nel comprensorio pedemontano, attraversato da 
		Est a Ovest dalla Strada del Prosecco, nel quale, oltre al Prosecco e al 
		Prosecco superiore di Cartizze, si producono lo straordinario Colli di 
		Conegliano Refrontolo passito D.O.C. – che è il celebre Marzemino 
		cantato da Mozart nel suo Don Giovanni, il cui libretto è stato scritto 
		dal cenedese Lorenzo Da Ponte – e il raro e prezioso Torchiato di 
		Fregona, anche questo a denominazione di origine controllata, oltre ai 
		moderni e importanti Colli di Conegliano (bianco) e Colli di Conegliano 
		rosso, ultime gemme di una produzione enologica di grande prestigio 
		anche a livello internazionale. Non va inoltre 
		dimenticato un vino autoctono di lunga storia, il Verdiso, prodotto 
		soprattutto nell’area tra Conegliano  e Combai.
 A ridosso della 
		strada realizzata per volere di Druso e del figlio Claudio si trova pure 
		la terza area di produzione di vini a D.O.C. della Marca Trevigiana, 
		quella del Montello e dei  Colli  Asolani,  ove  si  coltivano  
		soprattutto  Prosecco, Cabernet e Merlot, ma anche Chardonnay, 
		Pinot bianco e grigio, Sauvignon e si produce quello straordinario vino 
		che è il Venegazzù, anch’esso superbo prodotto di nicchia, emulo e pari 
		ai migliori rossi di Bordeaux, presente sulle tavole più importanti del 
		mondo.
 Nel corso del 
		tempo in queste aree si sono prodotti anche altri vini, compreso il 
		Picolit, ma la Claudia Augusta Altinate, così come l’Annia e la 
		Postumia, la grande arteria che congiungeva Genova ad Aquileia, hanno 
		rappresentato comode vie di passaggio anche per numerosi eserciti 
		invasori, dalle orde dei Quadi e Marcomanni 
		a quelle di Attila ai moderni ed agguerriti eserciti che fino alla metà 
		del ventesimo secolo hanno insanguinato queste fertili plaghe, 
		provocando, in subordine, la ripetuta distruzione del patrimonio 
		agricolo e in particolare della vite. A causa soprattutto delle 
		invasioni e delle guerre, ma anche dell’evoluzione dei gusti, fra i 
		vitigni più antichi e autoctoni sono rimasti solo il Marzemino, il 
		Raboso, il Verdiso e il Verduzzo, mentre gli altri, tutti gli altri, 
		sono stati importati nel corso del tempo da altre aree vitivinicole 
		europee e qui rimasti, avendo trovato un territorio, un clima e una 
		sapienza produttiva capace di esaltarli al meglio.
 Per questi motivi 
		è stato completamente modificato ma certo non sconvolto quel panorama 
		enologico che si presentava due millenni or sono al mantovano Virgilio 
		quando, ammirando questa campagna, era colpito dagli ombrosi pergolati 
		di viti che ornavano le facciate delle case dei saggi agricoltori 
		veneti. Oggi chi, partendo da Altino, volesse seguire l’antico percorso 
		della Claudia Augusta verso Feltre, Bolzano, Merano e, oltre le Alpi, in 
		Baviera, verso Landeck, Füssen, Landsberg ed Augsburg, o scendesse dal 
		Centro Europa le Alpi verso la pianura per ritrovare le antiche vestigia 
		della romana Altinum, in tutto il territorio italiano attraversato 
		resterebbe ammaliato dalle curate distese di splendide vigne e dalle 
		modernissime cantine odorose di vini buoni e, seguendo le moderne 
		indicazioni delle “Strade del vino”, troverebbe in ogni borgo, in ogni 
		paese osterie, trattorie e ristoranti ove assaggiare i prodotti d’una 
		terra ferace, arricchiti dalla civiltà d’un popolo che ha saputo 
		conservare e onorare al meglio la preziosa eredità vitivinicola qui 
		portata, oltre due millenni or sono, dalle legioni di Roma.
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