IL VETRO: da Altino romana a Venezia 2000



Rosa Barovier Mentasti - Premio Altino 1993

 


Altino. Necropoli della Via Annia, vasi rinvenuti
durante gli scavi. Anni '50/60 e'65/76.


 



 

   Rosa Barovier Mentasti
Premio Altino 1993

IL VETRO: da Altino romana a Venezia 2000

 

II vetro nell’antichità pre-romana

La lavorazione del vetro si qualifica fin dai tempi più antichi come un'arte altamente specializzata in tutte le sue fasi.

La sua scoperta risale ad alcuni millenni fa e non fu certamente così facile e casuale come appare nel famoso brano della Naturalis Historia (XXXVI, 190 ss.) di Plinio, lo scienziato romano morto durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.Cr.

Secondo Plinio alcuni mercanti approdati presso la foce del fiume Belus in Fenicia, volendo cuocersi del cibo, avrebbero acceso un fuoco sulla sabbia utilizzando come sostegno per le pentole i blocchi di natron (carbonato sodico naturale, formatosi col prosciugamento di laghi salati in Egitto) da loro trasportati.

Questo materiale, ottimo fondente vetrario, avrebbe facilitato la fusione della sabbia silicea del Belus e gli ignari mercanti avrebbero trovato al mattino rivoletti di sostanza vetrosa sui resti del fuoco spento. 

In realtà, benché il natron fosse il fondente vetrario del mondo antico e la sabbia del Belus venisse considerata un vetrificante molto puro, difficilmente un fuoco acceso sulla spiaggia avrebbe potuto raggiungere le altissime temperature necessarie alla fusione del vetro.  

È probabile invece che l'arte vetraria abbia avuto origine da qualche errata operazione relativa alla fusione dei metalli o alla lavorazione della ceramica, anche perché solo degli artigiani accorti, non degli ignari mercanti, avrebbero potuto trarre utili insegnamenti dalla osservazione di un fenomeno verificatosi casualmente. 

L’ origine va poi collocata in Oriente, non però in Fenicia, dove fiorì più tardi, ma in Mesopotamia.

 

I più antichi reperti di scavo esclusivamente in vetro sono blocchi, bacchette, piccoli oggetti, monili, datati al III millennio a.Cr. e prodotti nel territorio delle attuali Siria ed Iraq e, subito dopo, in Egitto. 

 

I primi oggetti concavi e vasi sono della metà del II millennio a.Cr.. Poiché non era ancora stata inventata la soffiatura, le tecniche per ottenere la concavità nel vetro, cosicché il manufatto potesse contenere sostanze solide ed anche liquide, erano vane e difficili.

 

Si poteva immergere nel vetro fuso o avvolgere con un filamento vitreo allo stato pastoso un nucleo friabile di argilla o sabbia o riunire in uno stampo concavo sezioni bacchette vitree come m un mosaico e saldarle al calore del forno o ancora fondere il vetro in uno stampo.

 

Inoltre il vetro, alla pari delle pietre naturali, era lavorabile con l'intaglio, una volta ottenuto con esso un blocco, debitamente raffreddato.

 
Erano processi complessi e lenti e ne risultavano prodotti rari e costosi, molto ricercati nell'ambito delle famiglie regnanti e presso gli aristocratici mentre per la massa della popolazione i vetri costituivano lussi irraggiungibili. 

Sembra esservi stato tra il 1200 e l'800 a.Cr. un lungo periodo di decadenza dell’arte vetraria, che rifiorì dalI'VIII ed ancor più dal VI sec. a.Cr. sulla base delle medesime tecniche, soprattutto di quella del nucleo friabile.  

Le forme dei numerosi vasi di questo periodo sono analoghe a quelle della contemporanea ceramica greca.  

Nella sua diffusione verso occidente la vetraria mantenne il suo carattere aristocratico, espresso al più alto livello nella produzione ellenistica dei vetrai di Alessandria d'Egitto, che per primi produssero un vetro trasparente e incolore e che furono gli immediati precursori dei vetrai romani. 

La vetraria dell'Impero Romano

Dopo la conquista romana dell'Egitto (30 a.Cr.) i raffinatissimi vetri alessandrini portati a Roma come bottino e poi regolarmente importati riscossero un eccezionale successo presso le classi ricche romane e furono considerati costosi oggetti alla moda.

"Il loro uso per bere ha soppiantato il vasellame metallico d'argento e d'oro", scrisse Plinio.

Ben presto però, accanto a questi prodotti raffinati e costosi, si videro vetri economici, d'uso comune, così che si assistette ad uno sdoppiamento dell'industria vetraria.

Alle vetrerie produttrici di pregevoli oggetti d'alto artigianato, destinati ai più ricchi, si opposero quelle che a basso costo lavoravano vasellame vitreo con la tecnica della soffiatura, destinato a tutte le classi sociali per il suo prezzo modesto.

 Infatti probabilmente verso la metà del I sec. a.Cr. avvenne una rivoluzione tecnologica che fece del vetro un materiale di uso quotidiano per tutti, quale era stata fino ad allora solo la terracotta.

 Si ebbe inoltre una vastissima diffusione delle botteghe produttrici e dei consumatori mai prima verifìcatasi.

 Venne infatti scoperta la possibilità di soffiare il vetro mediante una canna di metallo e ciò rese la produzione dei contenitori, dai piatti alle bottiglie ed ai bicchieri, molto veloce e discretamente facile e di conseguenza assai meno costosa che in passato.

L'invenzione della soffiatura del vetro avvenne nel vicino Oriente, Siria o Fenicia, ma fu l'Impero Romano che creò le condizioni per la sua affermazione e la sua rapida diffusione anche in Europa.

 Il trasferimento in Italia ed anche a nord delle Alpi di vetrai, provenienti dall'Oriente con lo scopo di fondare nuove vetrerie, garantì in Europa un discreto livello nella produzione dei vetri d'uso, destinati a contenere cibi, balsami, medicinali.

 Anche nella penisola italica tuttavia alcune vetrerie e botteghe di decorazione si specializzarono nella lavorazione di vetri d'arte, veri capolavori sia sotto il profilo formale che tecnico.

 Le decorazioni potevano essere eseguite a caldo in fornace (murrine, soffiati a stampo, vetri con fili e gocce vitree applicate sulla superficie) o a freddo in laboratori specializzati (taglio a faccette o a motivi geometrici, incisione figurativa con retina o con punta di selce, intaglio a rilievo a cammeo, pittura a smalto, applicazione di foglia d'oro poi graffila).

 Uno dei più noti centri italici di produzione vetraria in epoca romana fu Aquileia, che aveva frequenti contatti commerciali con l'Oriente mediterraneo, da cui probabilmente derivò la sua tradizione vetraria.

 Tra la fine del primo secolo a.Cr. e l'inizio del I sec. d.Cr. fiorì la produzione delle sue vetrerie, specializzate in soffiati sottilissimi e vivacemente colorati.  

Gli scavi aquileiesi hanno restituito moltissime opere vitree ma anche resti di lavorazione e di crogioli, i vasi usati per fondere il vetro.  

Non è escluso comunque che in altre città della Venetia, come ALTINO, dove sono frequentissimi i vetri nei corredi tombali, fossero attive delle vetrerie.

 Dopo la caduta dell'Impero Romano in Occidente (476 d.Cr.) una produzione vetraria economicamente rilevante e notevole per qualità sopravvisse e si evolvette nel vicino Oriente, mentre i paesi europei videro una veloce decadenza delle tradizioni artigianali.

 I vetri dell'alto Medioevo, emersi dagli scavi, appaiono per lo più rozzi nel materiale e nella modellazione.

 La rifioritura dell'arte vetraria avverrà dopo il Mille nelle isole della laguna di Venezia.

 La vetraria veneziana

 Per tutto l'alto Medioevo ed anche nei primi due secoli dopo il Mille l'Europa, la cui produzione fu limitata a modesti vetri d'uso, fu un mercato per le importazioni dal vicino Oriente di opere vitree più raffinate, destinate a soddisfare le esigenze dei ceti aristocratici.  

A partire dal XIII secolo però il ruolo dell'Oriente, destinato nel giro di un secolo a perdere il suo primato, fu assunto da Venezia, produttrice ed esportatrice di vetri di qualità in tutta Europa e presto anche nelle stesse città orientali.

 Gli storici dello scorso secolo pensavano che l'origine della vetraria veneziana andasse cercata nella vetraria romana di Aquileia e che gli aquileiesi e gli abitanti delle città romane vicine alla laguna, fuggendo all'arrivo dei barbari sulle isole lagunari e fondando Venezia, vi avessero trasferito le vetrerie della terraferma.

 Vi sono però secoli di vuoto produttivo tra la fine della vetraria aquileiese e i primi segni di una attività vetraria a Venezia.  

Anche qualora si accetti questa ipotesi, bisogna comunque ammettere che soltanto gli stretti rapporti della nostra Repubblica Marinara con l'Oriente e i contatti con la splendida arte del vetro bizantina e islamica guidarono i vetrai veneziani verso livelli di raffinatezza allora sconosciuti in Europa.

 E più probabile che la vetraria veneziana derivi direttamente e solamente da quella orientale, della quale ereditò l'imposzione tecnologica di base.

 Come il vetro islamico e bizantino il vetro veneziano era un vetro sodico e la soda era ricavata fino al XII secolo dal natron e poi da ceneri ottenute bruciando piante di acque salmastre (cenere detta allora allume catino).

Per molti secoli anzi i veneziani importarono le ceneri sodiche dall'Oriente e addirittura rottami di vetro da rifondere.

 Anche alcuni dei più antichi frammenti vitrei veneziani trovati in laguna ricordano nei particolari strutturali e decorativi quelli di vetri orientali della stessa epoca.

 Il primo documento veneziano relativo all'arte vetraria è un atto di donazione dell'anno 982, conservato all'Archivio di Stato di Venezia, nel quale appare quale testimone un Domenico di professione fiolario, cioè fabbricante di fiole (bottiglie).

 Dopo un secolo, nel 1083, compare in un altro atto un Pietro fiolario e nel 1090 un Pietro Flabianico anch'egli fiolario.

 Erano tutti veneziani, segno che l’attività vetraria era praticata anche in Venezia città.

 Verso la fine del XIII secolo però le vetrerie erano già concentrate a Murano e nel 1291 venne ordinata la demolizione delle fornaci cittadine, pericolose a causa dei frequenti incendi che potevano propagarsi anche alle abitazioni, in gran parte ancora di legno.

 Nel Duecento i vetrai muranesi risultavano organizzati in un'Arte o corporazione, il cui funzionamento era basato sulla Mariegola (o Capitolare), lo statuto che continuamente veniva aggiornato con nuovi regolamenti.

 La più antica Mariegola dei vetrai conservata è del 1271 ed è scritta in volgare.

 Altre ne vennero trascritte in volgare nel 1441, nel 1525, nel 1618, nel 1766.

 L'arte era presieduta dal Gastaldo, coadiuvato dai rappresentanti dei padroni e dei maestri vetrai, i quali, assieme agli apprendisti, godettero per tutta la durata della Repubblica di condizioni di vita e di lavoro dignitose.

 Non avevano invece voce e potere contrattuale i numerosi uomini di fatica, talvolta immigrati da zone povere dell'entroterra veneto (più tardi anche friulano).

 

Le carte medievali citano numerosi membri di famiglie ancora oggi impegnate nell'attività vetraria: i Barovier, i Ferro, i Fuga, i Gaggio, i Seguso, i Toso.

La fusione del vetro avveniva in due tempi ed in due forni diversi.

Nella calchera le due materie prime fondamentali, silice (sabbia di cava o ciotoli quarzosi polverizzati) e soda (cenere di piante del litorale mediterraneo detta allume catino), mescolati, subivano una prima calcinazione.

 

Il materiale ottenuto si chiamava fritta.

La fritta miscelata a rottame di vetro ed eventualmente ad altri componenti, subiva nelle padelle o crogioli la definitiva fusione nel forno di fusione e lavorazione.

 

Il vetro così ottenuto o cottizzo, veniva versato in acqua e poi, nuovamente fuso, era pronto per la lavorazione.

 

Tra i componenti accessori vi era il decolorante, che serviva ad eliminare la colorazione giallastra e verdastra conferita al vetro da tracce di ferro contenute nelle sabbie e nei ciottoli silicei, così da ottenere un materiale trasparente e incolore.

 

Si produceva inoltre vetro blu, colorato col cobalto, e vetro ametista manganese.

 

Col trascorrere dei secoli nuovi colori, ottenuti con altri componenti, vennero ad arricchire la gamma cromatica veneziana e si realizzò anche il vetro opaco grazie all'aggiunta nella miscela vetrificabile di piombo e stagno calcinati (in seguito sostituiti da altri componenti).

 

La lavorazione del vetro si svolgeva ininterrotta per tutto l'arco delle ventiquattro ore, mentre i maestri vetrai si alternavano in turni prestabiliti attorno al forno, ciascuno di fronte ad una bocca attraverso la quale attingere il vetro dai crogioli.

 

Gli utensili usati allora erano già gli stessi di oggi, con denominazioni per lo più inalterate dal Medioevo ad oggi.

 

Gli strumenti principali erano il ferro (oggi canna da soffio), le borsello (molle o pinze di varie dimensioni), le tagiante (grandi forbici). I maestri erano anche allora assistiti da maestri e garzoni.

 

Già nel Duecento il livello dei prodotti era decisamente superiore rispetto al resto dell'Europa. Il vetro era discretamente puro e incolore, la lavorazione era caratterizzata da una certa finezza e da frequente ricorso a decorazioni applicate, la varietà delle forme era notevole.

 

A Murano si producevano smalti per orefici e per la pittura su vetro, gemme vitree di imitazione (veriselli), tessere da mosaico, dischi da legare a piombo per finestre (rui), lampade a campana da riempire con acqua, olio e stoppino (cesendelli), soffiati da tavola e da arredamento.

 

È ben nota la fiola, presto chiamata inghistera, bottiglia a lungo collo e ventre panciuto, usata per molteplici funzioni.

 

Altri prodotti erano i bicchieri (moioli) di varia foggia, coppe, tazze, boccali, calici. Vi erano anche dei bicchieri fabbricati espressamente per il mercato tedesco (detti teutonici), decorati da grosse protuberanze vitree applicate intorno alla parete.

 

Commissionati da una raffinata clientela internazionale erano i bicchieri decorati a smalti fusibili, con iscrizioni, figurazioni, stemmi, prodotti tra il 1280 ed il 1350.

 

Il più famoso è un bicchiere conservato al British Museum, recante l'iscrizione: "Mi ha fatto il maestro Aldrevandino" ("Magister Aldrevandin me fecit"), dovuta all'autore della pittura a smalto.
 

La decorazione a smalti fusibili cadde in disuso tra la metà del XIV sec. e la metà del XV, risorgendo subitaneamente dopo che attorno al 1450 si era verificata nella vetraria veneziana una rivoluzione tecnologica di tale portata che a questa data si fa terminare per il vetro di Murano il Medioevo ed iniziare il Rinascimento.

 

Il protagonista di questa rivoluzione fu Angelo Barovier, padrone di fornace e membro di una famiglia nota dal Trecento.

 

Esperto nella tecnica vetraria, vantava anche una preparazione scientifica derivatagli dalla frequenza delle lezioni del filosofo-scienziato Paolo da Pergola.

 

Poiché le impurità del vetro derivavano dalla cenere sodica, egli escogitò una serie di operazioni alchemiche per depurarla: ne risultava un fondente sufficientemente puro che, unito ai ciotoli quarzosi del fiume Ticino, particolarmente apprezzati perché molto puri, ed al biossido di manganese, come decolorante, dava una miscela adatta a trasformarsi, con accurate fasi di fusione collaudate da secoli, in vetro incolore e terso simile per queste sue qualità al cristallo di rocca.

 

Questo nuovo vetro venne chiamato anch'esso cristallo, termine per la prima volta attribuito al vetro. Allo stesso Barovier è attribuita anche l'invenzione del lattimo, vetro bianco opaco simile alla porcellana, e del calcedonio, pasta vitrea a venature imitante una varietà del calcedonio naturale, l'agata zonata.

 

Con materiali così preziosi a disposizione i vetrai foggiarono a caldo vetri dalle nobili forme, degni di comparire nei sontuosi palazzi del tempo.

 

Allora infatti iniziò in Europa il culto della casa, centro di vita mondana ed intellettuale, e si svilupparono quelle arti che avevano come scopo il suo abbellimento.

 

Le forme solidamente strutturate dei soffiati quattrocenteschi erano ispirate a quelle del vasellame metallico, di cui la tecnica vetraria della meza stampaura riproduceva le plastiche baccellature.

 

La pittura a smalto, adottata per molti preziosi calici vitrei, affrontava per lo più temi profani, connessi con le gioie della vita terrena e dell'amore.

 

Il secolo XVI fu l'epoca di maggiore splendore per il vetro di Murano. I vetrai, forti delle esperienze quattrocentesche, perfezionarono i materiali vitrei ed elaborarono tecniche manuali assai raffinate per modellare e decorare i vetri soffiati.

 

Le forme si fecero più essenziali e lievi e, se pure continuò a venire applicata la decorazione a smalto, i prodotti veneziani più apprezzati, senza i quali i ricchi di tutta Europa non potevano degnamente addobbare le loro tavole, erano soffiati sottili e purissimi.

 

I dipinti dei più grandi pittori veneziani del tempo, come Tiziano e Veronese, ne riproducono numerosi esempi di suprema eleganza.

 

Spesso i vetrai che introducevano qualche importante novità nella lavorazione del vetro potevano chiedere al Doge o ad altri organi della Repubblica di essere protetti da un privilegio o brevetto.

 

Un privilegio venne ad esempio concesso nel 1527 a Filippo Serena per la invenzione della filigrana a retortoli (con la quale si ottiene nella parete sottile di cristallo un motivo a fasce parallele di fili variamente intrecciati a spirale, di lattimo o di vetro colorato) che con la filigrana a reticello (con la quale si ottiene all'intemo della parete di cristallo), presumibilmente di poco posteriore, costituisce la più importante invenzione della vetraria veneziana cinquecentesca.

 

Alla scadenza del privilegio i vetri a filigrana divennero un prodotto consueto nelle migliori vetrerie e lo sono ancora oggi.

 

Egualmente un privilegio venne chiesto ed ottenuto nel 1507 dai fratelli Andrea e Domenico d'Angelo per la produzione di specchi secondo una tecnica perfezionata.

 

Nel 1549 poi Vincenzo d'Angelo, figlio di Andrea, ottenne un privilegio decennale per la decorazione graffita a punta di diamante, che egli già da tempo applicava agli specchi ed ora estendeva ai soffiati.

 

Il graffito a punta di diamante creava nei soffiati un effetto di lievissimo merletto, che valorizzava ancor più la sottigliezza del vetro.

 

La sempre maggiore raffinatezza e specializzazione nella lavorazione del vetro evidenziatasi nei secoli XVI e XVII portarono le autorità veneziane a varare misure di protezione contro l'esportazione di tecnologia, trascritte in Mariegola.

 

Mentre nel Medioevo venivano accolti senza difficoltà nelle fornaci vetrai di altre regioni o stranieri, dopo l'invenzione del cristallo si giunse a stabilire che solo coloro che avevano la piena cittadinanza muranese potessero lavorare come maestri o apprendisti questo pregiato materiale.

 

Per definire chi realmente poteva essere definito cittadino originario di Murano si giunse a redigere nel 1605 il Libro d'Oro, contenente il nome di coloro che appartenevano alla Magnifica Comunità di Murano.

 

Soltanto essi e i loro discendenti avrebbero potuto esercitare l'arte vetraria in qualità di padroni o maestri. Per questo si parla ancora di nobiltà vetraria muranese.

 

Si fecero inoltre dalla metà del XV secolo sempre più pesanti le pene, previste già nel Medioevo dalla Mariegola, per coloro che emigravano all'estero a lavorare il vetro.

 

La Repubblica di Venezia mirava infatti ad evitare il formarsi di tradizioni vetrarie di alto livello in altri stati, volendo rimanere l'unica produttrice di vasellame vitreo di lusso. Essa fallì però nel tentativo.

 

Nel XVI secolo i vetrai muranesi emigrarono in tutti i Paesi europei così che sorsero quasi ovunque fornaci produttrici di vetri, realizzati da artefici muranesi, su modelli muranesi, con le stesse tecniche e gli stessi materiali usati a Murano.

 

Il fenomeno continuò nel Seicento ed è conosciuta la presenza di vetrai italiani, probabilmente veneziani, anche in Virginia, a Jamestown, una delle prime colonie di popolamento del Nord America, tra il 1621 ed il 1625.

 

Il XVII secolo fu un periodo di grande ricchezza inventiva e di notevole ricercatezza tecnica.

 

Continuarono a venire prodotti i tipi rinascimentali, anche i più essenziali. Tipicamente seicentesche invece erano alcune forme più elaborate, in sintonia col gusto barocco: calici con la coppa a ripetuti rigonfiamenti, detti zuccarini perché simili a piccole zucche, calici col gambo costituito da complessi intrecci di fili vitrei, lampade ad olio in forma di animali, brocche ornate di mascheroni con anse crestate.

 

Le decorazioni graffite a punta di diamante divennero più ricche e naturalistiche, la trama delle filigrane si fece più complessa.

 

Vennero largamente adottati il vetro a ghiaccio, ideato verso il 1570, solcato da apparenti crepature, e la decorazione a festoni di fili vitrei sovrapposti, oggi detta fenicio, nata tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo.

 

Fu inventato intorno al 1620 un nuovo materiale vitreo consono al gusto barocco, l'avventurina, caratterizzato all'interno della massa da piccoli cristalli di rame lamellari e lucenti, stelle, che le hanno meritato anche il nome di stellaria.

 

Il nome più usato avventurina deriva da "ventura" e sta a significare che la sua realizzazione è legata al caso, in quanto anche si seguano tutte le complesse prescrizioni tecniche non si è sicuri della riuscita.

 

Altro vetro pregevole, ideato verso la fine del secolo, fu il girasol, simile all'omonima pietra dura, lattescente e traslucido.

 

Nel corso del Seicento proprio nei centri dove erano emigrati i vetrai veneziani si affermarono nuove tradizioni di vetraria d'arte diverse da quella veneziana ma, in larga misura, da esse derivate.

 

Infatti le stesse ricercate metodologie, introdotte ed esportate dai muranesi per la scelta e preparazione delle materie prime, per la condotta della fusione e, in parte, per la lavorazione, furono progressivamente applicate dai tecnici impegnati nelle vetrerie alla facon de Venise anche a componenti differenti da quelli in uso a Murano, valorizzandoli.

 

Si ottennero così materiali vitrei che si distinguevano per proprietà addirittura contrastanti con quelle del cristallo e del vetro colorato muranese, cioè, per la ridotta lavorabilità a caldo e la brillantezza, particolarmente evidente con l'intaglio a rotina.

 

Nacquero all'inizio del secolo il cristallo potassico boemo e verso la fine del secolo il cristallo al piombo inglese, modellati inizialmente nelle forme tipicamente veneziane ma presto in uno stile originale.

 

Da quell'epoca al monopolio veneziano nel settore del vetro d’arte si sostituì la convivenza e concorrenza di varie tradizioni che si divisero il favore del mercato, godendo ciascuna a periodi alterni di una netta supremazia.

 

La concorrenza dei centri vetrari innovatori e la saturazione del mercato, stanco ormai dei tradizionali prodotti veneziani, determinarono nel XVIII secolo un periodo di crisi per Murano.

 

Intervenne allora il geniale vetraio Giuseppe Briati realizzando un. cristallo potassico più brillante di quello tradizionale veneziano, che, almeno nel territorio della Repubblica riuscì a porre rimedio alla concorrenza boema, poiché fino a quel momento gli stessi nobili veneziani cedevano alla tentazione di acquistare i prodotti nordici, contravvenendo alle leggi protezionistiche veneziane.

 

Briati ideò inoltre nuovi tipi, come la ciocca, cioè il lampadario a bracci rivestito di vetro e decorato da fiori policromi, i mobili decorati da placchette vitree, il deser, fastoso centro tavola ad elementi componibili.

 

Ai nuovi cristalli potassici venne applicata anche l'incisione a rotina, introdotta alla fine del XVII secolo con l'arrivo di incisori tedeschi.

 

Quella praticata a Venezia si distingueva perché più delicata e superficiale rispetto alla profonda incisione dei decoratori d'oltralpe.

 

Continuarono naturalmente a venire applicate tecniche tradizionali come quelle della filigrana e non conobbe crisi il settore degli specchi, le cui lastre venivano preparate a Murano per poi essere trattate dagli specchieri veneziani, numerosissimi e raffinatissimi.

 

Gli stranieri apprezzavano particolarmente le paste vitree opache colorate, imitanti le pietre dure, in particolare il calcedonio, l'avventurina, il lattimo, quest'ultimo decorato a smalti policromi.

 

Il XVIII secolo fu per la Repubblica un secolo di crisi economica ed istituzionale. Era giunta però la sua fine.

 

Nel 1797, dopo mille anni di indipendenza, fu occupata dalle truppe francesi, nel 1798 Napoleone la cedette agli austriaci, nel 1806 il Veneto entrò a far parte dell'impero napoleonico, per poi tornare all'Austria dal Congresso di Vienna del 1814 fino al 1866.

Una decadenza profonda ed apparentemente irreversibile colpì le attività commerciali ed industriali di Venezia ed anche la vetraria muranese, che il governo austriaco gravava con dazi di importazione delle materie prime e dazi di esportazione dei prodotti finiti quasi insostenibili, stentò a sopravvivere.

 

Unico settore produttivo di una certa importanza rimase quello delle conterie, perline destinate ai paesi coloniali.

 

Soltanto dopo la metà del XIX secolo vi fu qualche segno di ripresa per i soffiati d'arte. Il gusto cambiò nuovamente in favore del vetro veneziano.

 

Perché si verificasse una rinascita vetraria si dovette attendere l'unione di Venezia al nuovo indipendente Regno d'Italia nel 1866, unione che creò le condizioni politiche ed economiche favorevoli, e l'iniziativa del sindaco di Murano e dell'abate Vincenzo Zanetti, studioso di storia vetraria, che fondarono nel 1861 il Museo Vetrario ed una annessa scuola di disegno per Vetrai nel 1862.

 

Museo e scuola furono il fulcro attorno al quale si formò una nuova generazione di vetrai.

 

Giunse negli stessi anni a Murano Antonio Salviati, il quale capì che la produzione ed il commercio dei vetri veneziani potevano essere un buon affare. Fondò allora a Venezia un laboratorio di mosaici, che nel corso dell'Ottocento decorò in Europa ed in America le pareti interne ed esterne di edifici monumentali, e nel 1866 aprì a Murano una vetreria, Salviati & C. poi Thè Venice and Murano Glass and Mosaic Company, nella quale impiegò i migliori maestri allora attivi e apprendisti promettenti.

 

Questi ultimi grazie a lui ebbero modo di sviluppare la loro abilità e, una volta raggiunto il benessere economico, di staccarsi da Salviati per creare proprie vetrerie.

 

Il gusto dell'epoca richiedeva copie di tutto ciò che era stato fatto nel settore vetrario nel passato e ad esso si adeguarono i vetrai veneziani recuperando tutte le tecniche del passato, non solo veneziane ma anche romane e preromane.

 

Fu così che essi riacquistarono l’abilità del passato nel soffiato e che reinventarono la tecnica romana della murrina, mai prima conosciuta a Murano.

 

Si distinsero nella lavorazione del vetro famiglie attive anche oggi come i Barovier, i Ferro, i Toso, i Moretti.

 

Fu difficile un rinnovamento della vetraria muranese alla fine del secolo scorso, quando invece trionfavano la vetraria Art Nouveau francese ed americana.

 

Soltanto immediatamente prima della I guerra mondiale il rinnovamento avvenne, legato al movimento dei pittori ribelli del gruppo di Ca' Pesaro, del quale fecero parte anche alcuni vetrai muranesi.

 

Da allora Murano sa rinnovarsi continuamente adeguandosi allo stile dei tempi.

 

Dalla fine del XIX secolo la vetraria industriale ha potuto perfezionare tecnologie automatiche che hanno sancito la definitiva separazione della produzione del vetro d'uso dal vetro d'arte.

 

Quest'ultimo, pur con interessanti nuove soluzioni tecniche ed estetiche, prosegue sulla strada tracciata nel Medioevo e l'uomo, il maestro vetraio, con la sua abilità manuale ne rimane il protagonista.


Dino Martes. Vaso Zanfirico verticale
Aureliano Toso, 1958
New York, collezione O. Lastra

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