Una storia lunga,
affascinante e martoriata, racconta le vicende d’una terra che nella
seconda metà del Novecento ha conosciuto una nuova promettente primavera
che continua ancor più fulgida all’inizio di questo terzo millennio.
Quello che
s’estende da Altino, alle porte di Venezia e fin oltre Concordia
Sagittaria, oltre Jesolo e Carole, è uno di quei magici luoghi dove
millenni di civiltà hanno lasciato segni imperituri. Ben quattro
vescovadi l’hanno nobilitata nei primi secoli dell’era cristiana: oltre
quello di Altinum, c’erano infatti vescovi a Iulia Concordia,
probabilmente il primo in terra veneta, Equilio e Carole, segno d’una
ricca presenza di comunità dalla solida operosità, vivaci anche
culturalmente, che avevano attirato dapprima l’interesse degli storici
di Roma, poi dei grandi centri di irradiazione cristiana di Aquileia e
di Roma.
Questo è il Veneto Orientale, terra di
millenaria civiltà, a volte confine ma più spesso luogo di intensi e
fecondi rapporti. Qui la gronda lagunare s’incontra con la fertile
campagna veneta, spingendosi oltre Quarto d’Altino, Meolo, San Donà di
Piave, Ceggia, San Stino di Livenza, Annone Veneto, Pramaggiore,
Portogruaro, San Michele al Tagliamento, fino a lambire il vicino
Friuli.
Posta tra i fiumi Dese e Tagliamento, attraversata dal Sile, dal
Piave, dalla Livenza e dal Lemene, con al centro l’antica Iulia
Concordia, centuriata nel 42 a. C., dopo la battaglia di Filippi, quale
segno di generale pacificazione, quest’area intessuta di antichi borghi
e moderne cittadine, mostra tutt’intera la sua vocazione vitivinicola.
Furono i Romani,
con le centuriazioni di Altino, Opitergium e Concordia a strappare
queste terre alle paludi e alla selva per sviluppare un’agricoltura che
ha poi trovato ulteriore impulso nell’opera dei Benedettini e
soprattutto degli Abati di Santa Maria in Silvis di Sesto e di Santa
Maria di Summaga, quest’ultima appena fuori del centro storico di
Portogruaro.
Da queste parti
sono passati tutti, ma proprio tutti quelli che, nel corso dei secoli,
sono venuti a cercare cibo e fortuna in Italia. Dagli antichi Veneti,
passati oltre tre millenni or sono e fermatisi a fondare anche Equilio e
Altino, ai Celti scesi dalla Carnia e arrivati fino alla Livenza, ai
Quadi e Marcomanni giunti dalle pianure al di là del Danubio e fino ai
Longobardi, rimasti in queste terre oltre due secoli e poi Franchi,
Ungheri e i tanti eserciti che negli ultimi mille anni hanno varcato le
Alpi, il Tagliamento è stato oltrepassato da orde, fiumane, eserciti
centinaia e centinaia di volte, spesso distruggendo, a volte
mischiandosi alle genti locali, lasciando comunque dei segni ancor oggi
visibili.
In questo
alternarsi di vicende l’agricoltura ora s’espandeva fiorente ora
lasciava il posto al bosco e alla palude. Ma negli antichi terreni
centuriati, appena sfiorati dalle annuali esondazioni dei fiumi - specie
nelle aree tra la Postumia, fatta costruire nel 148 a.C. dal console
Spurio Postumio Albino e l’Annia, voluta nel 131 a.C. dal pretore Tito
Annio Rufo, strade che provenendo da luoghi fra loro lontani s’univano
poi a Concordia, proseguendo congiunte per Aquileia - le viti piantate
dai Romani continuavano a produrre ottimi vini per la gioia dei
residenti e per i commerci esistenti già in epoca romana e poi nel lungo
periodo medievale.
Gli studiosi,
cercando di ricostruire sui rari documenti disponibili e sulle scarse
tracce di reperti le antiche tipologie enologiche, ritengono che
nell’area concordiese siano giunti gli stessi vitigni presenti nella
centuriazione aquileiese e, successivamente, in quella opitergina.
Innanzitutto, dunque, l’antichissimo vitigno autoctono, il Picina omnium
nigerrima, l’attuale Refosco dal peduncolo rosso, poi altri vitigni a
bacca bianca e rossa del cui nome s’è persa la memoria.
Che in
tutta quest'area si producesse ovunque il vino ce l'attesta anche il
testamento dei longobardi Erfo e Marco, figli di Pietro duca del Friuli,
redatto
attorno alla metà del 700, nel quale essi elencano
puntigliosamente le terre vitate che donano all’Abbazia benedettina di
Sesto al Reghena, senza dimenticare che, allora, i monasteri erano
abitati da grandi comunità di monaci, molti dei quali sacerdoti, per cui
serviva il vino per le celebrazioni liturgiche.
Con l’espansione
di Venezia in terraferma e soprattutto dopo il 1420, quando il Leone di
San Marco sventolerà in sinistra del fiume Livenza in tutte le terre che
furono del patriarcato di Aquileia, la viticoltura del Veneto Orientale,
in particolare nelle aree tra il Sile e il Tagliamento, conosce un nuovo
interessante sviluppo che, con fortune alterne, continua fino ai tempi
della Belle Epoque. Ma la prima vera rivoluzione enologica lungo
l’antico percorso dell’Annia la si ha a partire dagli anni
immediatamente successivi all’unità d’Italia.
Sul finire
dell’Ottocento, infatti, inizia a diffondersi in queste aree, assieme a
quella del Refosco, la fama del vino Tocai
(Tai dal 2007), che è la vera colonna
portante del rinascimento enologico della zona. Già ancora in epoca
austriaca, un canonico di Concordia, monsignor Carlo Guarnirei,
proprietario di una bella campagna a Lison di Portogruaro, fu il primo a
coltivare con amore il Tai e a produrlo in purezza, separandolo dagli
altri vini bianchi allora prodotti. Fu imitato da un altro canonico concordiese, monsignor Angelo Baj e il loro esempio fece numerosi
proseliti.
Nell’ultimo
decennio dell’800 il Tai trovò un grande estimatore in un illuminato
proprietario terriero, Giuseppe Dalla Pasqua, che non solo razionalizzò
le piantagioni di Tai, ma diede impulso a tutta l’enologia della zona,
che s’estendeva in modo abbastanza omogeneo nel territorio dei comuni di
Annone Veneto, Pramaggiore, San Stino di Livenza, Portogruaro e Fossalta
di Portogruaro.
Dopo la prima
guerra mondiale, a sostituire le tantissime viti distrutte da un anno di
occupazione, sono poi arrivati in zona i primi vitigni francesi:
Cabernet, Malbech, Merlot e Pinot nero tra i rossi; Chardonnay, Pinot
bianco, Pinot grigio e Sauvignon fra i bianchi, che andarono ad
aggiungersi al Raboso, al Refosco, al Riesling, al Tai e al Verduzzo
che erano riusciti a superare le distruzioni belliche.
Negli stessi anni
del dopoguerra furono riprese le imponenti opere di bonifica verso il
mare che permisero di acquistare all’agricoltura vasti appezzamenti sia
in destra che in sinistra della strada statale Triestina, specie nelle
aree di San Stino, Loncon di Annone Veneto e Lison di Portogruaro. Anche
la viticoltura ne guadagnò, sicchè, dopo la seconda guerra mondiale,
nacquero in zona nuove importanti aziende, aumentò il numero e
soprattutto la qualità dei vigneti, si diffuse nelle cantine la moderna
tecnologia, migliorò di molto la qualità dei vini e alcune aziende
acquisirono in breve tempo rinomanza internazionale.
Finalmente, il
seme gettato oltre due millenni prima dai coloni mandati da Roma riuscì
a svilupparsi dando vita a vasti modernissimi vigneti, i cui vini ora
conosciuti e apprezzati in ogni parte del mondo.
Viaggiando da
Altino per il Veneto Orientale e il Basso Friuli si corre spesso in
mezzo a vigne curate come giardini, ci si ferma in borghi e cittadine
vivaci ed operose, si incontrano cantine dai nomi ovunque conosciuti. In
queste terre, fino alla Livenza, si producono vini che portano le
insegne della DOC “Piave”; in sinistra Livenza e fino al Tagliamento la
denominazione di origine controllata è “Lison Pramaggiore”, e tutti
questi vini hanno quanto serve non solo per nobilitare la millenaria
tradizione vitivinicola del Veneto Orientale, avendo anche le qualità
necessarie per essere considerati autorevoli ambasciatori di quella
civiltà che da Altino s’è progressivamente diffusa sia in terraferma che
a Torcello e poi a Venezia, città d’incanti, ancor oggi fra le più
splendide e ammirate dell’intero pianeta.